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venerdì 20 novembre 2015

Le #minirecensioni: La signorina Else, Senso


La signorina Else - Arthur Schnitzler
Pagine: 121
Edizione: Adeplhi
Titolo originale: Fraulein Else


RECENSIONE                                                                                  
Non esiste una trama che dia giustizia a questa novella. Provare a scriverla sarebbe come cercare di riassumere l'anima di una persona in poche righe, perchè La signorina Else è Else stessa. Il libro si apre in medias res, al termine di una partita di tennis. All'inizio il lettore si trova un po' spaesato, come se si fosse inconsapevolmente inerpicato in mezzo alla chioma bionda di Else fino a penetrarle nella mente, per essere sopraffatti dal suo inarrestabile flusso di coscienza. Ci si ritrova avvolti da una sinfonia: lo scrittore riesce ad orchestrare pensieri, giudizi, dialoghi e percezioni, unendo l'interiorità alla telecronaca di fatti che la fanciulla assorbe con lo sguardo man mano che avvengono. Come tanti flash che si uniscono, vediamo i vestiti di seta delle signore perbene strisciare sui pavimenti dei corridoi dell'hotel e la figura goffa del viscido signor Von Dorsday che sembra strisciare ancor più dei vestiti delle signore perbene. Sconvolgimenti e declino nascono da una lettera: il padre di Else si porta a dietro debiti da tutta la vita, come la scia di una lumaca e ora rischia l'arresta a causa di un'appropriazione di denaro un po' troppo elevata, che non può permettersi di ricavare. In maniera assolutamente opportunista e subdola, la famiglia richiede a Else di ingraziarsi il signor Von Dorsday, un vecchio amico di famiglia. Il dramma di Else annoda i suoi pensieri combattuti tra una soluzione e l'altra, tra il pensare a sè o ad una famiglia subdola e opportunista. Sotto la sua voce si nasconde quella di Schintzler stesso e insieme criticano la società viennese, divisa tra l'ipocrisia femminile e la bramosia maschile sotto i cui colpi, Else dimostra di essere una vittima vulnerabile. 
Else è un personaggio emblematico della condizione femminile, che io ho amato particolarmente e per cui ho provato una grande pietà: è incredibilmente sola, giovane e consapevolmente bella, perciò vanitosa. E' sarcastica e critica, in maniera anche abbastanza irruente e fa sorridere, ma anche riflettere, vedere come tutto ciò che pensa nella sua testa non si rifletta poi nei suoi comportamenti, che invece devono adattarsi all'etichetta di una rispettosa dama del suo tempo, un tempo che la vede come un corpo senza contenuto. Il finale è particolarmente intenso, ancor più di tutto il resto del libro, e l'autore accresce l'effetto riportando degli spartiti musicali, come a dare presenza fisica a quella colonna sonora travolgente che avremmo potuto, fino a quel momento, solo immaginare. I drastici eventi conclusivi sono riportati con leggerezza che tocca il cuore.
Penso che questa breve novella esclusivamente personale e psicologica mi abbia colpito così tanto perchè tutte noi, pubblico femminile, possiamo immedesimarci in lei, anche senza appartenere a quella precisa epoca. Le sue opinioni, i suoi atteggiamenti e soprattutto le sue critiche sono trasversali a qualsiasi tempo storico, anche il nostro. 
In un angolino del nostro cervello, starà sempre una piccola Else.
"Un po' di tenerezza quando si è carine, un po' di apprensione quando si ha la febbre,
ti mandano a scuola, e a casa s'impara a suonare il piano e il francese,
d'estate si va in campagna, per il compleanno ti fanno dei regali
e a tavola parlano di ogni genere di cose. 
Ma di quel che è in me, vi siete mai preoccupati?"


VOTO: 9 




Senso - Camillo Boito
Pagine: 55
Edizione: BUR


RECENSIONE                                                                          
Senso è il diario segreto di una contessa trentina che ci mostra come, anche ai piani più alti della classe sociale, non manchino i peccati, l'amoralità, le bassezze. Il punto di vista di Livia è quasi scientifico, molto obiettivo; la sua voce è cinica, sprezzante, senza pudore. 
"Mentre il povero giovane mi si gettava ai piedi, io, ritta,impassibile, mi guardavo nello specchio. Esaminavo il mio volto per trovarmi una ruga. (...) Trentanove anni!...tremo nello scrivere questa orribile cifra."
Livia è sposata per opportunismo ad un sessantenne molto ricco, è viziata di gioielli e vestiti eleganti. E' vanitosa, altera, consapevole della propria bellezza che, da vera femme fatale, sfrutta a suo piacimento; al contempo è terribilmente angosciata all'idea di perderla, di invecchiare, tanto da trasformare la seduzione in un mezzo per constatare se il suo potere sugli uomini è ancora invariato. Mette in atto questa tecnica per la prima volta a sedici anni, illudendo un giovane innamorato che, dopo aver tentato il suicidio, si arruola e muore in battaglia.
Livia trentanovenne a Trento è la stessa Livia che, sedici anni prima, a Venezia si innamora del giovane ufficiale austriaco Remigio. Donna istintiva, si lascia accecare e tormentare da una "formidabile passione", che la rende vittima per la prima volta. Questo cambiamento ci mostra come la sua vita sia spoglia e infelice e come tutto questo renda la donna cedevole agli impulsi della lussuria e dell'amore fisica. 
L'unica parte veramente bella e degna di nota è quella puramente estetica, che si lascia andare alla descrizione evocativa di Venezia. Tutto è musicale, stuzzica i sensi fino a rendere le parole quasi palpabili; l'atmosfera è sognante. Livia smette, per qualche pagina, di essere una "sterminatrice di uomini" o una vittima della carnalità: emblema dell'innocenza e purezza, del distacco dal materiale che sembra, per un momento, impossessarsi di lei, è il suo gesto di gettare un anello di diamanti nella laguna, grazie al quale le "parve di avere sposato il mare".
Il finale è drammatico ed anche un po' crudo, cosa che io di solito privilegio. Ma questa volta me lo aspettavo, era prevedibile e non mi ha soddisfatta, come la storia in generale che, pur essendo scritta bene, è troppo breve per coinvolgere, come fosse solamente accennata.


VOTO: 6

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