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martedì 25 ottobre 2016

Nel museo di Reims - Daniele del Giudice

Nel museo di Reims - Daniele del Giudice
Pagine: 46
Edizione: Mondadori 


TRAMA                                                                        
"È da quando ho saputo che sarei diventato cieco che ho cominciato ad amare la pittura". Inizia così il racconto di Barnaba, un giovane ex ufficiale di Marina che a causa di una malattia mal curata sta perdendo progressivamente la vista. Barnaba ha deciso di sfruttare il tempo che gli rimane per fissare nella memoria alcuni capolavori dell'arte. E per questo lo troviamo nel museo di Reims, tra le tele di Corot, Gericault e Delacroix. Ma Barnaba è lì per un quadro in particolare: la morte di Marat di David. Quella tela, da quando l'ha vista in una riproduzione, è diventata un piccolo rovello: ha subito sentito che in qualche modo lo riguardava. Mentre Barnaba si aggira per le sale del museo, la voce accesa e leggera di una donna gli si affianca. E' Anne, di cui Barnaba non riesce ad afferrare nemmeno il colore esatto degli occhi. Anne ha indovinato il suo segreto e inizia a descrivergli i quadri che lui quasi non vede. Tra i due nasce come un gioco fatto di pudica sensualità, di intima tenerezza. Perchè Anne in alcuni casi mente, racconta quello che non c'è, inventa particolari. E Barnaba lo sa. 


RECENSIONE                                                                                        
Nell’edizione Mondadori del 1988, in una nota della postfazione, l’autore si rivolge in prima persona al lettore: “Vorrei dire che alla base di Nel museo di Reims c’è solo un pacco di fotografie di quadri non troppo messe a fuoco e in bianco e nero ricevute da quel museo un po’ di tempo fa, una piccola scoperta incidentale in un volume di storia della medicina mentre finivo di scrivere il racconto, e una mia personale esperienza di bugie”. Questo breve, ma intenso racconto viene presentato come nato per caso, sbocciato nell’immaginazione dello scrittore alla vista di fotografie di quadri offuscate e senza colori, esattamente come i quadri stessi si presentano agli occhi di Barnaba, il protagonista sull’orlo della cecità a causa di una malattia mal curata, che desidera concedersi per l’ultima volta, prima del buio totale, la visione del quadro di David, La morte di Marat. La co-protagonista è Anne, una ragazza bionda e di bell’aspetto, il cui volto rimane, per tutta la storia, indecifrabile al lettore, perché visto attraverso gli occhi offuscati di Barnaba. La giovane donna resta come in una nebbia, o meglio in un’aura di luce, e svolge la stessa funzione di Beatrice per Dante: è una presenza eterea e salvifica. È una voce personificata, che guida il protagonista attraverso le sale del museo e, avendo intuito il suo problema, gli illustra i quadri e anche ciò che sta oltre essi. Anne racconta e, raccontando, mente ed inventa dettagli che in realtà non esistono: insegna, in questo modo, a Barnaba a vedere oltre le sue pupille offuscate. La loro si presenta come una relazione capovolta rispetto a quella di Montale e Drusilla Tanzi, in cui era lei, con le sue pupille offuscate, ad insegnare a lui che la vera realtà sta oltre le cose, come viene narrato dal poeta stesso nel componimento Ho sceso, dandoti il braccio. Grazie a questo tema del raccontare, si può dire che il testo fornisca spunti di riflessione metaletterari sulla questione di racconto come invenzione e menzogna.
È anche un romanzo sulla percezione, sull’importanza dei sensi, che però devono coesistere con la sensibilità extrasensoriale, l’empatia, la comprensione dell’altro. Barnaba, inizialmente sopraffatto dall’aiuto improvviso che gli viene fornito, non coglie l’insegnamento di Anne e rigetta le sue bugie; non avverte, dietro il desiderio di lei di salvarlo, la sua necessità di essere salvata a sua volta. 

“Devono esistere delle malattie diverse dalla mia, senza danno apparente, senza menomazione, anzi contornate dalla bellezza e dalla gaiezza, malattie di cui è difficile dire dove ledono e dove fanno male, ma non per questo meno gravi, meno dirompenti. Invece di scoprire se mentiva o no avrei dovuto capire, come lei ha capito, avrei dovuto aiutarla, dovevo riuscire a essere io lei, avrei dovuto metterla di fronte a se stessa, permetterle di incontrare se stessa vivente nei gesti e nelle parole di un altro.”

Il testo, che si può definire un racconto lungo o romanzo breve, non presenta una suddivisione in capitoli. Sono solamente gli spazi bianchi tra un paragrafo e l’altro a segnalare un cambiamento di
ritmo e di narratore. La narrazione si sviluppa, infatti, a doppio binario, alternato tra una prima persona affidata al protagonista Barnaba e una terza persona del narratore onnisciente. Il lessico è preciso e c’è una ricca aggettivazione, rispetto alla descrizione prevalgono le parti dialogate. Di notevole importanza è il monologo finale del protagonista, che fornisce una risposta a tutto ciò che durante il corso della storia rimane avvolto da un grande punto di domanda. Pur trattandosi di linguaggio parlato, lo stile non è mai gergale, bensì si mantiene su un tono medio uniforme. Il finale è aperto e lascerebbe presupporre un seguito, il resto del racconto offre uno spaccato di vita dei due personaggi principali.
È un testo molto corto, tanto da sembrare quasi una bozza un po' affrettata. L'idea di fondo è intrigante, accattivante e originale, ma avrebbe potuto essere sviluppata più profondamente. Si legge tutto d'un fiato, nel giro di un'ora e poi non rimane nulla.


VOTO: 6

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