Qui troverai ciò che vuoi:

martedì 27 dicembre 2016

Due ussari, La morte di Ivan Il'ic - Lev Tolstoj

Il mio primo approccio con Tolstoj passa attraverso due romanzi brevi, secondari: Due ussari e La morte di Ivan Il'ic, due racconti estremamente diversi fra loro. 




Due ussari - Lev Tolstoj
Pagine: 105
Edizione: Einaudi
Titolo originale: Dva gusara

RECENSIONE                                                                  
Due ussari appartiene alla prima fase della carriera letteraria di Tolstoj, quella degli anni '50, caratterizzata dalla prevalenza dell'aspetto autobiografico e dalla riflessione sulla contrapposizione tra il mondo vecchio e nuovo. Entrambi questi aspetti si ritrovano facilmente nel testo. Il primo ussaro, il conte Turbìn, personifica in sè una parte della vita di Tolstoj stesso: quella degli studi universitari, che lo scrittore non portò mai a compimento. Anni turbolenti, in cui lo scrittore divise la sua vita tra la vecchia tenuta famigliare in campagna, che però non era in grado di gestire, e le due città di Mosca e S.Pietroburgo, dove si diede ad un'esistenza burrascosa, scapestrata, fatta di bisbocce e gioco, in cui perse molti soldi. 
Le vicende del conte si svolgono agli inizi dell'Ottocento. Viene rievocata, quindi, un'epoca remota, la cui caratteristica principale è la vitalità. L'energia vitale della classe alta è idealizzata come valore rappresentativo e in parte positivo, nonostante dia vita anche ad atti quasi barbarici. Vengono dipinti gli alberghi dove gli ufficiali giocano a carte e perdono molti soldi, le case eleganti dei ricchi dove si tengono i balli della nobiltà di provincia, che senza pudore nè scrupoli si "mischia" agli zigani e ci fa baldoria insieme, per tutta la notte,  e addirittura si arrischia a sfilare con le slitte tra le vie della città: su una slitta i nobili e sull'altra gli zigani, che cantano a squarciagola. La vitalità di Turbìn è la fonte del suo successo, perchè con il suo carattere sprezzante e prepotente riesce a conquistarsi la simpatia e il favore di tutti, anche e soprattutto di quelli che vengono da lui umiliati. Egli è un donnaiolo, che beve e duella con grande facilità, ma che invece di autodistruggersi, grazie ai suoi vizi si eleva e la sua figura resta negli anni nelle menti di tutti. Ciò si nota grazie al salto di vent'anni che c'è a metà libro, dove iniziano a raccontarsi le vicende del figlio del conte Turbìn, il secondo ussaro. Egli si vergogna di quanto spregiudicato ed imbarazzante fosse il comportamento di suo padre, di quanti debiti egli abbia lasciato alle sue spalle e di quanti guai abbia combinato. Ma questa idea iniziale che lui rappresenti un soggetto redento rispetto alla dissolutezza del padre si distrugge nel momento dell'incontro del giovane con i vecchi personaggi. Egli, infatti, finisce per vivere sotto il tetto del cavallerizzo e di sua sorella Anna, che anni prima era stata una spasimante del conte e che ora si è ridotta ad essere una vecchia e pigra matrona. Qui innanzitutto si nota come entrambi i vecchi abbiano ancora il ricordo vivido dei tempi passati con il primo ussaro conte Turbìn e di come lo considerino un uomo nobile, alla cui memoria bisogna rendere giustizia. Di contro, man mano che si prosegue si nota come il giovane sia sostanzialmente incapace di intrattenere rapporti onesti con gli altri e abbia uno spirito insipido e basso. Attraverso la figura dei due ussari, Tolstoj vuole rappresentare due epoche: un Ottocento selvaggio che si sostituisce alla metà del secolo piatta, in cui è diffuso il valore di una vita familiare campagnola, in cui il tempo scorre lento e pigro. L'autore finisce per non prendere una posizione precisa rispetto ad un'epoca in particolare, ma il suo bilancio sembra essere leggermente a favore dei tempi vecchi, più genuini e vivi. 


VOTO                            







La morte di Ivan Il'ic - Lev Tolstoj
Pagine: 94
Edizione: Feltrinelli
Titolo originale: Smert' Ivana Il'ica


RECENSIONE                                                               
Ho avuto il mio primo contatto con questo libro a un evento del Festivaletteratura di Mantova, in cui si svolse la lettura integrale ad alta voce di questo testo di Tolstoj. Ricordo che ero molto stanca e mi si chiudevano gli occhi, ma mi sforzavo di restare sveglia perchè ascoltare quella storia mi stava appassionando. È arrivato poi il momento di rileggerlo in occasione dell'esame di letteratura e durante un tragitto in treno di due ore e mezza l'ho finito. La lettura è molto scorrevole, la trama essenzialmente semplice pur nel suo dramma: la storia di un uomo dedito solo al suo lavoro, soggiogato per propria volontà a chi gli è superiore che si ritrova a dover rivalutare la propria vita quando ormai è troppo tardi. Per tutta la vita si sforza di condurre un'esistenza che lui reputa equilibrata e corretta, approvata dalla società e dalle persone importanti. Sposa una donna perchè chi gli è superiore avrebbe sicuramente approvato tale scelta; se deve trasferirsi per lavoro, lo fa, incurante di tutto e tutti, perchè così gli è stato richiesto e così deve fare. L'unico momento in cui, per la prima volta nella sua vita, si distrae dal dovere per darsi al piacere è quello in cui arreda la sua nuova casa. Si dedica a questa attività anima e corpo, non si capisce se per soddisfare un bisogno interno che aveva tenuto a bada per troppo tempo o se per creare qualcosa di cui poi poter fare sfoggio. Il risultato è eccezionale, ma è proprio durante questo periodo che accade qualcosa che cambierà la sua vita per sempre: un giorno cade e batte col fianco contro uno spigolo. Una cosa da niente per chiunque altro, ma catastrofica per lui. Ivan Il'ic comincia ad avvertire che qualcosa al suo interno non funziona e comincia a modificare la propria scala di valori ma raggiungendo anche questa volta l'accanimento estremo: la ricerca ossessiva di una cura, di una soluzione che sembra essere introvabile. Da questi episodi scaturisce un'immagine profondamente negativa dei medici, incapaci di svolgere a dovere il proprio mestiere e di confrontarsi con questo male che rode Ivan da dentro e pare essere piuttosto qualcosa di astratto, malvagio e ultraterreno piuttosto che una comune irregolarità dell'organismo. È straziante vedere come, man mano che la situazione si aggrava, l'uomo si rattrappisce su se stesso, compie un'involuzione e si chiude sempre di più in sè stesso, a riflettere sulla sua crudele ed inspiegabile sorte. Da un certo punto della narrazione in poi, ogni pagina è praticamente occupata solo di domande che restano senza risposta. Ci si pone sotto gli occhi la questione insondabile della morte, che fino a che non ci tocca in prima persona sempre poter andare a prendere solo qualcun altro; quando invece ci bussa alla porta ci sembra di essere delle eccezioni alla regola, delle vittime di un destino che gli altri non devono affrontare. 
La riflessione che Ivan Il'ic compie sul letto di morte è profonda di significati filosofici ed esistenziali, così come un po' tutto il libro offre molti spunti di riflessione. La lettura è piacevole, perchè nonostante il tema drammatico, non diventa mai pesante, ma arrivata quasi alla fine mi è sembrato che la stesse tirando troppo per le lunghe, stesse insistendo troppo sul solito punto senza progredire. Forse, quindi, verso la fine la scorrevolezza viene un po' ostacolata dalla staticità del protagonista che continua ad arrovellarsi sempre sulle solite questioni, ma nonostante tutto è una lettura che ne vale la pena.



VOTO                      

Nessun commento:

Posta un commento