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sabato 17 dicembre 2016

Proprietari di vecchio stampo, La mantella - Nikolaj Gogol

Proprietari di vecchio stampo - Nikolaj Gogol
Tratta da: Mirgorod
Pagine: 29


RECENSIONE                                                                     

Proprietari di vecchio stampo è una novella di ventinove pagine in cui non succede essenzialmente niente. È il racconto di uno spaccato della vita di Afanasij Ivanovic e Pulcherija Ivanovna, lui sessant'anni, lei cinquantacinque, i due proprietari di vecchio stampo. La descrizione minuziosa della loro quotidianità riempe almeno i due terzi delle pagine: essa si compone dei loro movimenti lenti, del loro a d a g i a r s i sulle comodità, sulla ripetitività, sulla calda sicurezza dell'abitudine. I due sembrano muoversi su una nuvola, o immersi nel cotone: il loro mondo è soffice e attutito, la loro quotidianità scorre inconsapevole di ciò che avviene all'esterno, delle truffe e della sostanziale cattiva gestione della proprietà. Il loro tempo dilatato è scandito, non dalle lancette dell'orologio, ma dai pasti che si susseguono l'uno dopo l'altro in brevissimi intervalli di tempo. Il pasto è un rito, un culto sacro; un dovere a cui si deve assolvere obbligatoriamente ogni due o tre ore e a cui va reso onore con estrema riverenza. I piatti sono tipiche pietanze russe, che vengono descritte con una minuziosa quasi morbosa e arricchite di dettagli colorati ed invitanti. L'atto del nutrire l'altro è anche il modo in cui Pulcherija dimostra tacitamente il suo amore ad Afanasij: si viene a creare, infatti, nel corso della lettura, un'atmosfera piena d'amore e di sentimento genuino e puro, ma senza che questo venga mai esplicitato a parole dai personaggi e senza che nemmeno il narratore esterno lo descriva in terza persona. I due proprietari sono i rappresentati di un mondo ormai vecchio e sorpassato, che senza accorgersene si sta avvicinando al decadimento, che non è più in grado di tener testa al progredire delle epoche, ma che resiste proprio grazie a questo amore, a questa relazione che si staglia incorrotta in mezzo alla

putrefazione della materialità e del progresso. Si comprende l'incredibile forza di questo sentimento solo alla fine, quando esso viene sostituito da un'altra forma del sentire, altrettanto potente, ma questa volta brutale: il lacerante dolore della perdita, la presenza opprimente di un'assenza.
In sole ventinove pagine, Gogol riesce a racchiudere un reportage di vita quotidiana caratterizzato da una cura maniacale, un'estremo realismo che però non tralascia la piacevolezza delle descrizioni, addobbate di aggettivi coloriti, attributi simpatici, diminutivi e vezzeggiativi. Allo stesso tempo, riesce a calarsi in profondità, oltre la superficie reale, per indagare le radici profonde dell'uomo, le sue problematiche esistenziali. La sua scrittura è capace di divertire attraverso la rappresentazione della semplicità e della goffagine dei protagonisti e al contempo di intenerire, di far commuovere e di toccare le corde dell'interiorità. 

"Mio dio! Cinque anni di tempo che tutto distrugge, un vecchio ormai insensibile, un vecchio che pareva che la vita non avesse mai agitato con nessun forte moto dell'anima, per il quale pareva che tutta la vita fosse consistita solo nello starsene seduto su di una seggiola alta, nel mangiare pescetti salati e pere, nei racconti bonari, e invece ecco un dolore così lungo, così cocente! Cos'è dunque più forte in noi: la passione o l'abitudine? O tutti gli slanci violenti, tutto il vortice dei nostri desideri e delle passioni ribollenti sono soltanto una conseguenza dell'età nostra smagliante, e soltanto per questo sembrano profondi e distruttivi? Comunque sia, tutte le nostre passioni mi sembravano infantili a confronto di questa lunga, lenta, quasi insensibile abitudine. (...) Le sue erano lacrime che scorrevano senza chiedere il permesso, da sole, accumulate dall'asprezza del dolore di un cuore ormai spento."

VOTO:






La mantella - Nikolaj Gogol
Tratta da: Racconti di Pietroburgo
Pagine: 43


RECENSIONE                                                                 
La mantella è la storia del funzionario Akakij Akakievic, che vive una vita preconfezionata e passiva, vi scorre all'interno come per inerzia, senza neanche muovere un passo di sua spontanea iniziativa. Un motivo decisamente ricorrente nella letteratura russa è proprio questo: l'uomo inutile, inetto, che compie degli atti concreti solo tra le quattro mura dell'ufficio, dove si inchina diligentemente e con zelo per indossare il giogo che gli viene imposto da chi sta più in alto di lui. L'unica azione che Akakij compie è quella di copiare le lettere altrui in bella calligrafia e senza errori. È significativo come neanche a casa propria egli si liberi di questo compito: Akakij non scrive un diario, non scrive poesie, bensì copia. Tutta la sua vita gira attorno alla copiatura di lettere, è solo questo che riempe le sue giornate fino al momento in cui, con l'arrivo del freddo, nella sua esistenza piatta, caratterizzata da miseria, povertà e sacrificio subentra un elemento nuovo: il desiderio di una mantella. Egli si accorge che il suo cappotto si è ormai ridotto a un panno logorato che a malapena gli copre le spalle; incapace, quindi, di proteggerlo dal gelo pietroburghese. La sua mente viene pervasa ventiquattr'ore su ventiquattro dal pensiero di una mantella ideale. Egli può permettersela solo a scapito del proprio benessere: tutto in lui si tende verso il desiderio della mantella, che fa passare in secondo piano anche il nutrimento e lo porta a saltare la cena per risparmiare. Solo quando egli arriva a possederla è, per la prima volta nella sua vita, felice e fiero. La mantella probabilmente rappresenta il primo obiettivo raggiunto nella sua vita, per il quale ha lottato e si è messo in gioco. 
La scrittura di Gogol è fenomenale nel ritrarre quest'uomo così misero e passivo, ma verso il quale istintivamente il lettore non può far altro che provare tenerezza e compassione. Fa commuovere la felicità pura e incorrotta che egli prova nel momento in cui finalmente riesce a realizzare un desiderio che gli appariva così inarrivabile e che da chiunque altro viene dato per scontato, viene considerato qualcosa di raggiungibile nell'immediato. Fin dall'inizio però queste emozioni positive sono in qualche modo macchiate da un'angoscia latente, da un grande "ma" in agguato, pronto a minare la serenità che si viene a creare. Il lettore si tende come una corda di violino, viene spinto a continuare la lettura per vedere come andrà a finire. L'immedesimazione è profonda. 
È eccezionale come l'autore, a questo punto, dopo essersi sforzato nel creare le condizioni che permettessero l'immedesimazione, in un attimo le distrugga. Nel finale infatti la narrazione subisce una svolta netta e radicale: dall'estremo realismo nella descrizione della vita quotidiana del personaggio, della psicologia dei suoi superiori, dell'ambiente pietroburghese coi suoi riti e le sue convenzioni si passa repentinamente al genere fantastico-surreale. Ho interpretato la svolta finale come la costruzione di un'allegoria efficace per rappresentare in modo velato un tema delicato, e in qualche modo renderlo più facilmente "digeribile": la malignità degli individui, l'estremo egoismo e l'insensibilità di un ambiente cittadino che sopprime il singolo.
Una storia di sole quaranta pagine, ma estremamente emozionante e intensa. 


VOTO:

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